Mokume

Cenni storici sul Mokume

L’importanza del metallo nel corso dei millenni dalla sua scoperta ad oggi ha svolto un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle varie culture e dello sviluppo delle civiltà.

Da nessuna altra parte del mondo come nel Giappone feudale, la metallurgia ha acquisito attraverso il culto della spada una vera e propria smania decorativa. La spada, la Katana, espressione di potere e status, passando dal buddismo zen allo scintoismo, rappresentava la via verso l’illuminazione, incarnazione vera e propria del rapporto con il sovrannaturale, con il divino.

Questo clima culturale favorì le giuste condizioni per lo sviluppo e l’evoluzione delle tecniche metallurgiche, declinate verso soluzioni estetiche sempre più raffinate, perfezionando in modo straordinario la tecnica del Damasco che sfrutta la fusione di diversi metalli ferrosi per ottenere lame forti, resistenti e flessibili.

Esempi di questa tecnica, applicata all’oreficeria, risalgono ad epoche antiche e se ne trova traccia in varie parti del mondo. In Marocco, artigiani berberi realizzarono gioielli unendo assieme rame, ottone e argento; allo stesso tempo, in Indonesia, vennero forgiati i noti pugnali giavanesi, denominati “Kriss”, creati dall’unione di diverse tipologie di ferro.

In Cina, il “Guri bori”, generalmente riconosciuto come l’origine del Mokume-Gane, è la tecnica che prevede la stratificazione di molti metalli di colore diverso e l’intaglio di arabeschi e motivi a spirale per i supporti delle spade Guri bori. Lavorazione che ha avuto origine nel Guri cinese, da cui prende il nome la tecnica di intaglio della lacca in cui i motivi arabeschi e Warabi-te sono scolpiti negli strati di lacche rosse, nere, gialle e di altri colori. Le opere Guri sono state create nei periodi dinastici dal Sung al Ming.

In Giappone, iniziarono ad essere importati intorno all’era Muromachi (metà del 14° secolo) ed erano molto apprezzati come utensili da tè secondo i registri della cerimonia del tè di quel tempo.

La tecnica del Mokume-Gane (木目金) è stata sviluppata nel XVII secolo, circa 300 anni or sono e si traduce dal giapponese letteralmente come: “l’occhio del metallo della venatura del legno” o meglio: “metallo dalle venature lignee”, tale lavorazione, di fatto, permette di ottenere sfumature molto simili alle venature del legno, sovrapponendo metalli di colore diverso intagliandoli e forgiandoli scrupolosamente.

Alcune fonti ci dicono che il primo a realizzarla, neanche a dirlo, fu un artigiano specializzato nella produzione di katane, tale Denbei Shoami (1651–1728) ad Akita nella parte settentrionale del Giappone, all’inizio dell’era Edo.

Dalla sua ideazione fino ad oggi, la tradizionale produzione di Mokume ha utilizzato, sia in forma pura che sotto forma di leghe, metalli diversi come l’oro, l’argento e il rame. Possono essere utilizzati tanti altri metalli, come l’ottone, il nikel, il palladio, il limite consiste solo nella conoscenza della materia prima.

Il Mokume è particolarmente congeniale alla mia visione del “fare” artigiano: una risposta quanto più possibile materiale e materica all’ingresso del digitale anche nel campo orafo che rischia di cambiare il paradigma del processo lavorativo annullando appunto l’indispensabile rapporto con la materia.

La mia necessità di manipolare, è un vero e proprio bisogno, a mio parere tipicamente umano che ha una valenza universale. La sfida consiste poi nel trasformare il materiale grezzo attraverso una tecnica antichissima, passando per l’indispensabile processo creativo, quasi meditativo, che ne valorizzi la materia nella sua essenza, costruendo gioielli che appartengono al nostro mondo contemporaneo.

Fabio Cappelli

Tsuba di Akita Shôami firmato Shôami Denbei residente a Dewa, Photographed da Tsuba Taikan di Kawaguchi Wataru (Tôken Shunju). Fonte

Katana giapponese

Lama in acciaio damasco. Fonte

Kriss. Fonte

La pratica della metallurgia medievale giapponese  è illustrata nel libro “Kodō zuroku” della famiglia Sumitomo. Il libro è datato nel 1795 e descrive  come estrarre il rame dal  minerale. Image courtesy of the East Asian Library and the Gest Collection, Princeton University Library.

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Come si crea il Mokume

Amo il mio lavoro. Il rapporto con la materia, con il metallo che attraverso il movimenti delle mani si tra-sforma. La lima, il martello, la matita. Il banchetto da lavoro, come un ulteriore arto attaccato al cervello, si consuma nello stesso modo di un tendine che lavora troppo e nello stesso modo acquisisce una sua esperienza nel gesto ripetuto.
 
La tecnica del Mokume-gane è straordinaria, offre infinite soluzioni cromatiche, e per la sua complessa modalità di realizzazione, si può eseguire solo esclusivamente attraverso una lavorazione diretta, manuale, ed è esattamente questo che mi ha spinto verso la ricerca dei suoi segreti.
Per realizzare manufatti in mokume si possono utilizzare lastre di metallo oppure fili.
In entrambi i casi un’accurata pulizia della materia prima è necessaria per ottenere un prodotto ben fatto.
Se si è deciso di procedere con le lastre, vengono allora sovrapposte, anche fino a 12 pezzi, alternando in sequenza i metalli. Lo spessore può variare da 0,8 a 1,20/1,50 mm.
Si serrano insieme ben strette, attraverso una staffa o del filo di ferro.
Per raggiungere la temperatura giusta e farle aderire insieme per brasatura (fusione dello strato superficiale), la soluzione ideale consiste nell’uso di un forno con termostato, ma si può ottenere un buon risultato anche attraverso un cannello alimentato con una combinazione di ossigeno-propano, alloggiando il pacchetto di lastre in una camera refrattaria.

Ottenuta la billetta (vergo, pacchetto di lastre di metalli diversi) si procede alla laminazione a martello e alla ricottura della billetta. 
Quando si arriva ad uno spessore adeguato (tra 1/1,50 cm) si procede alla realizzazione delle incisioni che produrranno i disegni, le sfumature, le texture del nostro mokume. 
 
Ultimata questa fase si procede alla laminazione vera e propria fino ad ottenere lo spessore adatto alla realizzazione del manufatto che si intende realizzare.
Se invece si è deciso di utilizzare dei fili, dopo la pulizia degli stessi si possono intrecciare tra loro. Lo spessore dei profilati può variare di molto a seconda del metallo che si utilizza e dell’effetto cromatico che si vuole ottenere.
Si procede allora alla brasatura del nostro pacchetto di fili intrecciati, che può essere ripiegato più volte su se stesso per aumentarne il volume se necessario.
Si procede alla martellatura, alla ricottura ed in fine alla laminazione meccanica fino allo spessore necessario ai fini del prodotto finale che si intende realizzare.
Ottenuto il nostro manufatto, si passa alla patinatura finale, che rappresenta forse il momento più magico del processo lavorativo, è il momento in cui il mokume rivela il suo splendore, il momento in cui si verifica tutto il nostro lavoro.
 
La patinatura finale, si può ottenere in mille modi diversi, semplicemente riscaldando il manufatto, oppure utilizzando varie soluzioni acide.

I gioielli in Mokume di Fabio Cappelli

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